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Royal Ultra Sky Marathon 25 luglo2009
Scritto da Vittorio Duregon   
Giovedì 16 Dicembre 2010 10:00

 

L'ULTIMA AVVENTURA, LA  ROYAL ULTRA SKY MARATHON

DEL GRAN PARADISO

EDIZIONE 2009

 

 

PARTE Iduregon 1

 

 da L'ULTIMA AVVENTURA  di Giampiero Motti


 

       Mi succede ogni tanto di essere un po' stanco… Andiamo indietro nel tempo. Mi sembra di risalire il lungo e selvaggio Vallone di Piantonetto, mi pare di averlo davanti agli occhi, solitario, cupo e un po' tetro nella luce della sera. Rivedo il grande pianoro di pascoli con il piccolo gruppo di grange addossate le une alle altre, sotto i salti di roccia, la sera di un sabato di settembre. Sono pochi quelli che sono saliti fin quassù e sono tutti  amici. Non c'è rifugio, forse ancora pochi conoscono il Piantonetto, qualcuno sa che sulla parete del Becco di Valsoera c'è una certa via aperta da Leonessa e Tron che dovrebbe essere davvero una bella arrampicata.

 

Si parla anche ogni tanto, e con grande rispetto, della via che Mellano, Perego e Cavalieri hanno aperto sul grande spigolo. Una via difficile, nessuno l'ha ancora ripetuta.

     Durante la notte pioveva e le lose del tetto lasciavano passare gocce abbondanti. La sera si ritornava al grande pianoro chiuso tra monti altissimi e si restava stupiti da quel grande silenzio, smarriti in quell'atmosfera intima e incantata che ti lascia qualcosa dentro.

Perché avevi vissuto una avventura. Forse avevi ripetuto la via Malvassora; certo non è una via estrema, ma avevi percepito appieno una dimensione diversa. O forse ti eri avvicinato pieno di timore e di riverente  rispetto al grande spigolo per cercare di passare dove i primi, nomi grandi e famosi, e altri molto tempo dopo, anch'essi fortissimi, molto più forti di te, avevano detto: è difficile...

 

     Sovente ritorno al Piantonetto. Oggi c'è un grande e comodo rifugio (il Contese. ndr) che ogni sabato sera è  pieno zeppo di gente che viene da lontano: Milano, Genova, Bergamo... Nessuno ormai va più a dormire nelle piccole e scomode grange e può darsi che nessuno, camminando, le noti più.

 

     Prima che giunga l'alba, decine e decine di piccole lampade risalgono il grande pianoro e poi adagio i ripidi canaloni che portano sotto le pareti. A volte se vuoi ripetere la Perego ti tocca fare la coda, ormai è una via classica, non fa più paura a nessuno, anche perché i passaggi più duri li hanno addomesticati con tanti chiodi.

     Eppure io ritorno ancora al Piantonetto perché ci sono affezionato; ma a volte, quando la sera ripercorro il grande pianoro, mi pare di essere un po' stanco. Vedo intorno a me un sacco di gente che va e viene, la sera nel rifugio è un gran vociare. Ricordo molto bene come davanti alle grange fossimo pochi, e stessimo lì seduti sulle pietre a parlare di tante cose e forse anche a cantarne una…  

     E' vero, a volte sono un po stanco. Ma ho degli amici veri che mi comprendono e che sanno dare. Con loro forse un giorno saprò rivedere con gli occhi incantati di allora una valle e un monte candido e scintillante, che appare altissimo sopra i tetti di un villaggio tibetano fermato nel tempo.

     Non è poi così difficile, anche se talvolta tutto appare intricato, contorto, quasi impossibile. Ma è in noi stessi la soluzione, nella nostra semplicità. Allora forse scopriremo l'avventura ogni giorno, aprendo solamente la finestra e guardando i grigi tetti delle case di una qualunque città.

 

Maggio 1972    

in I falliti e altri scritti, Vivalda Editore, Torino 2000

 

 

 ROYAL ULTRA SKY MARATHON 2009

Gara per sky runner nel massiccio alpino del Gran Paradiso

Partenza dal Lago di Teleccio (1917 m)

Arrivo al Lago di Ceresole Reale(1952 m)

Lunghezza totale: 46 km

Dislivello in salita: 3250 m

Dislivello in  discesa: 3575

 

Colli attraversati:

Colle dei Becchi (2990 m)

Bocchetta del Ges (2692 m)

Colle della Porta (3002 m)

Colle della Terra (2922 m)

 

Organizzazione:

Associazione Guide Alpine Gran Paradiso Canadese

          Info e foto per il 2008-9  : www.4026.it

          Info per il 2010 :  www.royalmarathon.com

  

 

     Quando ho letto per la prima volta, non ricordo in che circostanza ma sicuramente per caso, della Royal Ultra Sky Marathon, sono rimasto sbalordito. Per fare questo percorso ci vogliono al minimo 3 giorni! Come è possibile? Eppure c'è già stata la prima edizione, nel 2008, non lo sapevo.

 

     D'altronde so bene che con la corsa in montagna i tempi di percorrenza delle guide escursionistiche vengono polverizzati. Però, che coraggio!

Praticamente tutta la Valle dell'Orco in una botta sola. Dalla diga del Teleccio a Ceresole Reale scavalcando il Colle dei Becchi e il Colle della Porta, il Colle della Terra e passando vicino alla diga del Serrù .

     Immediatamente inizia a crescere in me il desiderio di farla. E' una sensazione che mi spinge fortemente, interiore, quasi inconscia. In valle dell'Orco ci sarò stato venti, venticinque volte. Quasi sempre negli anni 70 e 80. Conosco molto bene quei posti. Attraversarli ancora una volta, ingaggiato a fondo, eppure leggero e sicuro, come avviene nelle corse in montagna, è un regalo che mi voglio proprio fare.

Ma c'è qualcosa di più. E' come se lo dovessi. A me stesso, vagamente anche ad altri. Perché non lo so. E' un meccanismo emotivo, un sogno. Sarà perché c'è qualcosa di nobile in questi posti. C'è molta memoria diffusa e condivisa. Probabilmente è un fatto generazionale. Sino a che esisteranno memoria e cultura, ovviamente.

     Non si tratta di posti qualsiasi, percorsi dove nevroticamente mettere alla prova il proprio fisico, raggiungere un risultato sportivo. Qui siamo all'interno del Parco Nazionale del Gran Paradiso, uno dei santuari della natura più famosi al mondo. Attraversiamo posti meravigliosi, continuamente riproposti in decine e decine di guide e libri sulla montagna e sulla  natura. Questi luoghi, ancor più che la Val di Susa o le Valli di Lanzo hanno rappresentato nel dopoguerra, per i torinesi sportivi e amanti della montagna, la frontiera, la scoperta, l'avventura, la ricerca della giornata perfetta e magica.

     Tutti sono passati di qui, da Gervasutti a Massimo Mila, a Giampiero Motti, Grassi, Guido Machetto, Danilo Galante, per citare solo alcuni grandi, che non ci sono più, ma che ci hanno lasciato le loro intuizioni, le loro relazioni, le loro imprese. Non parliamo poi del gruppo del Nuovo Mattino, e di quelli che sono venuti dopo ancora, e delle centinaia di giovani arrampicatori che oggi affollano la valle, diventata oggi uno dei centri europei più importanti per l'arrampicata.

Tutto ciò, mentre decine e decine di associazioni giovanili, escursionistiche, naturalistiche, scientifiche continuano ad inserire abitualmente questa valle, questo versante sud del Gran Paradiso nei loro programmi di attività.

     Particolarmente il vallone del Piantonetto, luogo di Partenza della Royal Marathon, gioca un ruolo centrale nella poetica di Giampiero Motti, l'alpinista più importante in Torino dopo la morte di Gervasutti, ispirato animatore di scalate e divulgatore, prima che anche lui se ne andasse tragicamente nel 1983.

     Il  Piantonetto era diventato negli anni 70 centro di scalate alla moda e ormai affollato, anche grazie alle prime ascensioni e alla monografìa di Giampiero.

Tuttavia in lui il Piantonetto, spartanamente e precocemente frequentato negli anni 60, è anche il paradigma di un modo diverso di essere alpinisti, di un modo diverso di fare sport. Viene a rappresentare nostalgicamente il luogo della scoperta, del tempo sospeso, del sogno, dello stupore delle prime avventure e del  rispetto verso ciò che c'è già, del silenzio, degli amici, dell'autenticità.

     Fuori dalla notorietà, dal bisogno del risultato sportivo, dall'aborrita mentalità eroica.

     Ricordavo vagamente le parole e i concetti espressi da Giampiero. E'  bastato  poco  per ritrovarle. 

     La Royal Marathon mi ha aiutato a capirle ancora meglio.

     Nello spirito di Giampiero la Royal Marathon può essere per ciascun partecipante la sua nuova personale Avventura. Certamente una opportunità per una performance sportiva. 

Ma libera, gioiosa, sicura, rispettosa della natura, e perché no, caro Giampiero, anche colta, raffinata, consapevole dei luoghi e della storia.

 

 

Questa che segue è la cronaca della mia prima Royal Marathon

  

          Sabato 24 luglio 2009  ultra-a 135

 

     Ore 16 partenza da Torino con mia moglie. Ci siamo. Un  filo di emozione sottende il silenzio che c'è in auto. A 57 anni ormai, conosco bene questo momento, di fronte ad una prova nuova, che sai molto impegnativa, ci si concentra, si raccolgono le energie. Ieri  Stefano Reletti, animatore e tra gli organizzatori della gara, mi ha chiamato sul cellulare per le ultime info.

     E'  tutto ok, le bandierine sono piazzate su tutto il percorso, in alto sui colli c'è ancora qualche nevaio ma non c'è nessun pericolo, si è lavorato duro con le pale, mi avvisa che ci sarà anche un elicottero (!) che trasporterà scarpe di ricambio al posto di ristoro del lago Lillet, per  quelli che lo desiderano.

     Il Centro di Educazione ambientale a Noasca, è una costruzione recentissima, una casa di accoglienza dell'Ente Parco, ci sono camere e un servizio di cucina. Ceneremo e pernotteremo qui. In attesa della cena vado a Ceresole per dare una occhiata alla zona di arrivo.

     Di  ritorno alle 20 troviamo che la sala da pranzo è già in grande animazione. Almeno 25 concorrenti sono alle prese con maxi piatti di pastasciutta, carne, formaggio, banane.

Non si scherza! Da una rapida indagine solo uno è di Torino(va citato, è Santo Lepore classe 1950), gli altri provengono da Sanremo, in tre, sono i Sanremo runners, specializzati in lunghe distanze, Genova, Mondovì, Pinerolo, Valtellina, Bergamo, qualcuno dal Canavese e Valle d'Aosta. L'argomento è uno solo: le gare del genere trail, il Kima, il Trail del Monte Bianco, lo Scaccabarozzi, ecc.

     Non so niente di tutto questo, ma sono tranquillo. Ho intuito in  modo chiarissimo come devo affrontare questa prova: andare a bassi giri, non fermarsi mai, come un diesel in quinta, alimentarsi.

     Nessuno chiede il caffè. Ci credo. C'è tensione, bisogna dormire presto, domani mattina dovremo alzarci alle 4.30, fare colazione e partire non più tardi delle 5.30.

     Verso le 21 arrivano Stefano e Roberto  Coggiola, guida alpina. Facciamo il briefing.

Ci danno la 'road map' da portarci appresso, dove è indicato il tracciato, i punti di ristoro, i 4 cancelli orari, i numeri di emergenza. Domande, risposte, battute, aneddoti della prima edizione. Mi ricordo solo l'ultima raccomandazione: 'non ci sono pericoli, però mi raccomando, non datevi battaglia nel canalone di discesa dal Colle dei becchi. E' un po' ripido e c'è neve dura, però abbiamo scalinato bene e messo una corda  fissa.  Siate prudenti'. Con questo pensiero poco conciliante, cerco di dormire. 

 

          Domenica  25  Luglio  2009

La  colazione.

     Alle 5 la saletta è già piena. Il clima ormai è di amichevole complicità. I discorsi sempre quelli, Marathon des sables, Marco Olmo, Killian, ecc. Mentre vassoi di crostate, pane, burro, marmellata, cereali, biscotti, latte e caffè spariscono in pochi minuti.

     Alle 5.30, buio pesto, scendiamo verso Rosone per imboccare il Vallone del Piantonetto e salire alla Diga del Teleccio. Ho con me tre compagni di ventura. Un camoscio giovane all'improvviso sbuca dal ciglio destro e mi corre davanti per dieci metri per poi sparire nel buio.

     Passato San Giacomo, l'ultima frazione abitata, albeggia. In alto a sinistra, sulle bastionate rocciose del Gran Carro, i primi raggi del sole incendiano dei fantastici salti di granito. Sarà lo Scoglio di Mroz? Il  pensiero va a Guido Machetto, alpinista biellese, innovatore, anticipatore di Messner in Himalaya. Lo aveva scoperto lui e vi aveva tracciato una via 'di sesto' con Gogna e Miller Rava, deceduto pure lui. Mi sembra di essere qui anche per loro.

 

La partenza partenza 09

     Arrivati alla diga c'è gia' un po' di movimento. Alcuni sono già arrivati direttamente dalla pianura, altri hanno pernottato qui in tenda. Si avvicinano le sette e Stefano, armato di megafono fa l'appello, ultime istruzioni per chi si è iscritto all'ultimo minuto.

     In alto tutte le cime del lato destro del vallone, quello ovest, sono illuminate dal sole, il Blanc Giuir, i Becchi, il Gran San Pietro. E’ una bella giornata. Fra tanto giallo un punto rosso, dev'essere la Torre Rossa del Piantonetto. La parte inferiore della dorsale è ancora in ombra, così come scura appare la mole minacciosa del Becco di Valsoera da ovest, con il celebre spigolo della Mellano Perego.  Alto sopra di noi, il Becco meridionale della Tribolazione, di cui si intravede il Colle che lo separa dal Blanc Giuir, ci ricorda che proprio di lì dovremo passare, dopo un  dislivello di mille metri in meno di cinque km.

     I secondi scorrono, foto di gruppo, partenza! Parto tranquillo, però rimango stupito, mi trovo subito ultimo. D'altronde io e Santo siamo con ogni evidenza i più vecchi. Dopo 400 m. bisogna passare sopra una lingua di neve, c'è la pista, meno male, perché è un po' in pendenza, e finisce direttamente nel lago. Tutti fanno attenzione, così ho tempo di accodarmi.

 

Il pasaggio al rifugio Pontese

rifugio_pontese 5 si copia     Subito dopo inizia la salita verso il Pontese, come tutti sanno discretamente ripida, perché è la bastionata rocciosa che separa l'alto vallone del Piantonetto dal lago. Noi ci metteremo, chissà… 15 -18 minuti anziché i 45 abituali dati dalle guide.

 

     Sotto di noi il lago di Teleccio, di colore verde, in tutta la sua estensione, a sin la notevole cascata del  rio del  Piantonetto tra il rifugio e il lago. Sopra di noi cresce sempre più, sulla sinistra, la mole del Becco Meridionale della Tribolazione. Il rifugio Pontese, con il suo tetto giallo appare all'ultimo. La Signora che lo gestisce, simpatica e ottima cuoca, non ricordo come si chiami, è li davanti ad applaudire.

      Dopo il rifugio, che quota 2.200, breve discesina verso il torrente, ponticello, passaggio e virata decisa a sinistra per iniziare l'ascesa verso il Colle dei  Becchi, quota 2990...


Il Colle dei Becchi

     All'inizio c'è una traccia di sentiero, però ad un certo punto l'erba si dirada e il terreno diventa pietroso, spesso inframezzato da passaggi su nevaio. Fortunatamente le bandierine rosse della Royal marathon sono diventate ormai abituali e aiutano a districarsi tra le balze rocciose. Dove si va però è chiarissimo. Davanti a noi, in punta ad un enorme cono di sfasciumi, granito purissimo, si staglia il Colle. Alcuni lembi di neve aiutano ad avanzare. Prendo i bastoncini che tenevo legati allo zainetto. Aiutano a non scivolare mentre si  avanza sulla neve.

     Sotto il Colle l'ascesa rallenta. I blocchi sono enormi. Ognuno passa dove gli riesce meglio, finché, tra un blocco e l'altro, all'improvviso gli appare l'altro versante.

     E' un momento emozionante. Lo sguardo percepisce sotto di sé il vuoto. Davanti, in un cielo azzurrissimo, si vede sulla destra l'imponente versante sud del Gran Paradiso, con i suoi ghiacciai.  Da lì, verso sinistra, la nota catena di Tresenta, Ciarforon, con la sua enorme cupola di ghiaccio, Becca di Monciair, ecc. Un panorama mozzafiato.

     Però qui c'è anche una bella sorpresa, il primo posto di ristoro. Un tavolo addirittura, con frutta disidratata, biscotti, barrette, acqua, bevande con soluzioni di sali minerali. Con calma prendo frutta barretta e la bevanda con i  sali. Ho recuperato qualche posizione, sono da solo ma devo essere poco oltre la metà del gruppo. Ottimo. Il Colle è fatto. Però è come se la gara iniziasse adesso. Abbiamo fatto solo i primi chilometri. Ne mancano ancora almeno 40.

 

     La discesa si svolge sul lato Ovest, tenendo un po' in diagonale verso destra. Qui c'è neve dura. All'inizio la pendenza è lieve e si corre spediti, poi aumenta e qui bisogna fare più attenzione.ascesa al colle dei becchi_08

 

Vedo a cento metri davanti me un concorrente che corre a balzi facendosi scorrere una corda sulla mano. E' il tratto ripido nel canalone. Quello scalinato. Ci  sono  dentro. Pochi metri e capisco che è facile, anzi .. divertente. Anche questa piccola ansia svanisce di colpo. Mi esplode dentro una sensazione di gioia. Sembra tutto irreale. Cosa ci faccio qui?

     Siamo in un posto pazzesco. Ora siamo passati dal sole all'ombra, fa freddo, stiamo correndo con le scarpette su un ghiacciaio, davanti a noi, in fondo nel sole, il Bivacco Ivrea, uno dei bivacchi più remoti del Gran Paradiso. Mi vien voglia di urlare.. va beene! e vvai! Una gaia euforia mi prende, ma credo che prenda anche gli altri, siamo scaglionati a distanze già notevoli, ma ci scambiamo loquaci urla di incoraggiamento e indicazioni. Ormai ognuno ha la sua collocazione naturale e comincia a fraternizzare con i compagni più prossimi.

     Al momento di attraversare il torrente in fondo al vallone ho una disattenzione, scivolo sulla pietra che c'è in mezzo e finisco nell'acqua gelida fino al ginocchio. Altro che elicottero al lago Lillet. Come farò con le scarpe inzuppate? Non ho alternativa, devo andare avanti. Un compagno di corsa mi incoraggia. E' un brutto momento, però piano piano me ne dimentico, e va tutto bene lo stesso.

 

L'Alpe la Bruna, la Bocchetta del Ges e la Casa di caccia al Gran piano

     Guidati dalle fide bandierine percorriamo su sentiero in lunga discesa il Vallone del Gias della Losa. Qui siamo in basso a circa 2500, ci sono balze e pascoli  Non vedo l'alpeggio dell'Alpe la Motta, ma al termine della discesa attraversiamo l'Alpe la Bruna. Si tratta di un pianoro molto ampio, verdissimo, attraversato dai meandri sinuosi del torrente, che bisogna attraversare, senza particolari difficoltà.  L'odore del bestiame impregna l'aria, mucche in libertà, accompagnate dalle immancabili mosche. Intorno a noi aride muraglie di pietra chiudono questo posto che è all'incrocio di tre valloni, Goi, Losa, Noaschetta quanto mai solitari.

     A questo punto, per portarsi a ovest verso Ceresole ed evitare un lungo giro nel fondovalle, il percorso di gara deve affrontare decisamente un altro colle, la Bocchetta del Ges, che permette di  passare nel Vallone di Ciamosseretto e poi da lì nel Vallone del Roc.

     La Bocchetta del Ges scavalca per l'appunto una muraglia di pietra arida, quella che dà origine al  Becco dell'Alpetto e al Monte Castello. Attacco ripidissimo su una pietraia conoide, tracce di sentiero, bandierine, il sentierino girovaga in modo assolutamente imprevedibile tra dorsali e anticime rocciose, meno male che due addetti all'organizzazione presidiano i due punti più difficili da interpretare. Al passaggio sulla Bocchetta altri volontari incoraggiano, fanno presenza e danno utili indicazioni sulla direzione di discesa.

Questa è ripida, su erba e rocce, minima traccia di sentiero, veramente spaccagambe.

 

 casa_di_caccia__al_gran_piano x miravalle    Tutto intorno montagne aspre e prive di una benché minima presenza umana. D'altronde siamo nel Parco del Gran Paradiso!

 

     Però ad un certo punto, l'occhio scorge una novità, bellissima. In fondo, in un pianoro verde una costruzione strana, bassa e lunga, con decorazioni e intonacata di ... rosa.

E' la famosa Casa di caccia al Gran Piano di Ciamosseretto. Un punto importante del percorso. E lì davanti cosa c'e? Alcune persone dietro una tavola imbandita. Incredibile. E' il secondo posto di ristoro.

     La fatica in questa difficile discesa si è fatta sentire. Ho perso una posizione. Devo mangiare.


L'Alpe di Breuil

     Dopo la Casa di caccia si scende su un prato verde fino al torrente di Ciamosseretto, quello che più sotto genererà la cascata visibile da Noasca, ponticello, di là si inizia una breve salita che immette sul lato sinistro orografico del Vallone del Roc. Ci siamo. Non ho mai visto questo posto ma so che ora si punta velocemente, senza dislivello, verso il cuore e l'apice della corsa, il Colle della Porta. Non ho con me un cronometro, che ore saranno? Che importa? Sembra tutto sospeso, magico, il sole è altissimo, intorno non c'è anima viva.

     Siamo sulla sinistra orografica del vallone del Roc. Quota costante, 2300 circa. Il sentiero, terroso, taglia in quota un pendio discretamente in pendenza, erba alta intorno, si può corricchiare spediti. Qualche nevaio ogni tanto lo attraversa, ma c'è la pista scalinata. Tranne in uno, o forse non l'ho vista. Devo scendere 30 metri, individuare il punto debole, attraversarlo e risalire. Ma quanto è lungo questo traverso? Chilometri. Cinque, sei, otto, chissà. Tutto qui è in scala enorme.    Intravvedo ogni tanto, in lontananza, il concorrente che mi precede.

     Stiamo risalendo il vallone, prevedo che presto dovremmo trovare un bivio per il Bivacco Giraudo. In effetti lo supero. Poco dopo ci sarà l'Alpe Breuil e forse apparirà finalmente davanti a me il Colle della Porta il punto chiave della corsa.

     L'Alpe Breuil è di nuovo un pianoro verdissimo, piatto, attraversato da diversi canali d'acqua, zone acquitrinose. Al centro scorgo alcune persone, con il tavolino, è il terzo ristoro.

Chiedo qual'è la direzione del Colle della Porta, da qui però non si vede.Vedi quella cascata lassù?, il sentiero le passa a sinistra, oltre ci sarai proprio sopra e vedrai in alto la sella. Qui intorno il panorama è grandioso, le pareti sud del Ciarforon della Becca di Monciair e dei Denti di Broglio incombono sulla destra, sulla sinistra c'è il Courmaon.

     Attraverso in linea retta il pianoro fuori pista, più avanti di nuovo le bandierine tracciamo il cammino.

 

Il Colle della Portalago_lillet si

     L'attacco del colle è veramente ripido, però si segue la mulattiera reale, la testa può riposare.

Comincio a sentire la fatica, cammino ancora bene ma il concorrente che mi aveva superato in discesa dalla Bocchetta del Ges sta rallentando molto, lo raggiungo e lo supero senza  forzare. Io stesso però evidentemente sto un po' rallentando perché vengo superato da una ragazza e un  ragazzo (Rosanna Mattè e Andrea Biassoni) che stanno salendo con un altro passo.

     All'Alpe Breuil avevo riempito la borraccia di sali, bevo, mangio con grande difficoltà una barretta aiutandomi con l'acqua. Sulla sinistra mi colpisce un alto paretone di roccia compatta, non ne conoscevo l'esistenza. E' la Parete dei  Camosci, scoperta dai climbers degli anni  80'. 

     La parte superiore del Colle è tutta coperta di neve, qua e là riaffiora la mulattiera con tratti asciutti, il sole picchia forte, c'è una luminosità accecante. I  due concorrenti che ho davanti sono un ottimo punto di riferimento per attaccare i nevai e tenere la linea migliore. A parte che anche loro seguiranno le tracce dei primi. Non lo posso sapere, ma in testa c'è Raffaella Miravalle, guardiaparco di professione e forte atleta in gara. Vincerà in 6 h e 3' davanti a Gianmaria Actis Grosso, anche lui runner e qualcos'altro.....forte rocciatore.

     Gran lavoro di bastoncini, a poco a poco il panorama si apre, il cielo diventa più grande, siamo in cima. Qui non c'è proprio nessuno, siamo a 3.000 m, un posto difficile da raggiungere. Sulla destra le bastionate alte e selvagge dei Denti di Broglio danno un che di himalayano a questo posto.  Di là del colle si intravede un lungo nevaio che scende in una conca e lì, al centro, mezzo ghiacciato, il bellissimo lago Lillet, subito dietro il quarto e ultimo colle, il Colle della Terra.


Lago Lillet e Colle della Terra

     I due concorrenti che mi precedono si buttano giù dritti per il nevaio, in lontananza li seguo.

Qui, è di nuovo lato ovest, la neve è dura, la pendenza lieve, si va che è un piacere, correndo e scivolando. Ad un certo punto però mi accorgo che il laghetto, che si avvicina, è addossato ad una parete di roccia sulla destra e non vedo chiaramente come e dove si potrà aggirarlo sulla sinistra. Capisco che siamo un po' fuori strada. Dopo il Colle bisognava tenersi subito a sinistra, il nevaio ci ha ingannati.

     Lancio delle urla a Rosanna e Massimo, anche loro avevano rallentato incerti, gli faccio cenno di portarsi più a sinistra. Io intanto mi incammino deciso su una pietraia e poco dopo ritrovo il sentiero, in questo tratto bello e corribile, con le solite bandierine. Sul bordo del lago è allestito il quarto posto di ristoro. Ci sono le famose scarpe di ricambio. Siamo a buon punto. Cambio le scarpe, mangio. Indugio, sono già un po' appagato. Rosanna e Massimo invece scappano via subito. Li vedrò al traguardo, un quarto d'ora dopo il loro arrivo.

     Riprendere a correre non è facile, doloretti vari, gambe così e così, di nuovo neve e salita dura, bastoncini e grinta, sulla carta sono gli ultimi 200 m. di dislivello.

     La salita al Colle della Terra è breve e ripida, pochi tornanti su una mulattiera terrosa e si è in cima. Libera da neve. Lì c'è parecchia gente, escursionisti venuti su dalla diga del Serrù. Qualcuno dell'organizzazione indica il percorso di discesa, che non coincide con il sentiero del colle. Si taglia un po'. Isolato dagli altri, proprio sul  percorso delle bandierine, c'è uno che filma il passaggio, dai bravo!, mi sembra di riconoscere la voce, è Enrico Marta di Ski Alp, che metterà poi sul sito della rivista un bellissimo filmato.

     Tagliamo vari tornanti, un tratto di terra e ghiaia finissima, bandierine, si va giù velocissimi.

La concentrazione è massima, ben presto riappaiono dei nevai da fare in discesa, sono senz'altro gli ultimi, aiutano molto. Poco dopo il sentiero, che a questo punto scende costantemente, diventa pietroso, si intravede in lontananza la diga del Serrù. Cerco con lo sguardo l'Alpe Bastalon che non arriva mai. Lì c'è la fine di questo sentiero, il quinto posto di ristoro. Finalmente ci arrivo. Da qui in poi (pensavo) è tutta discesa facile. Si intravede lontano sotto il Lago di Ceresole.


La parte finale

     E invece non è così facile, anzi, le cose si complicano. Le scarpe asciutte che ho messo non vanno bene, mi fanno male in punta, e da qui è tutta discesa! A questo si aggiungono i bastoncini. Avevo optato per un modello leggerissimo, in carbonio, perfetti alla bisogna, ma non telescopici. Ora, dopo tanti metti e togli, sballottano malamente fissati allo zainetto, mi sbilanciano, preziose energie se ne vanno per risistemarli continuamente.   Vado in crisi psicologica, la stanchezza si sente, mi raggiunge nuovamente il concorrente che avevo superato sul Colle della Porta. Stringo però i denti. Non ci sono alternative, bisogna arrivare. Il sentiero sempre in leggera discesa segue a distanza sul lato sinistro la linea della strada che da Ceresole sale al Colle del Nivolet, si vedono alcune auto, escursionisti, gente che non sa assolutamente nulla della gara. All'altezza del Vallone  del Carro si attraversa la strada e si passa sul lato destro della valle. Concorrenti e addetti dell'organizzazione che favoriscono l'attraversamento, sembrano intenti ad un gioco privato, strano, piccolo piccolo, lievi ombre nello spazio e nel tempo.

     L'attraversamento sul lato destro serve ad evitare un bel tratto della strada asfaltata che porta a Ceresole. Si passa dentro ad un  bosco, ma con una scarsissima traccia, piccoli balzi e pietre fastidiose continuamente spezzano il ritmo, fettucce appese agli alberi indicano il cammino.

     La maggioranza dirà che questo è stato il  tratto più duro. In effetti la stanchezza si sente, la meta è vicina ma si incede lentamente, non c'è nessun panorama. Veramente impegnativo. Scarpe e bastoncini mi tormentano, l'impresa è fatta, non c'è dubbio, ma che sofferenza adesso!

     Finalmente si esce di nuovo sulla strada, si rivede il cielo, c'è un tratto su asfalto, ognuno corre in piena solitudine, con le auto che passano, gambe ormai non più reattive, al piccolo trotto. Anche questo tratto sembra eterno.

     Di fronte al rifugio Muzio c'è l'ultimo posto di ristoro. Una signora gentile mi scruta e mi chiede: 'c'è qualcosa che non  va.... Vittorio?'. Ha raccordato numero e nome. 'Questi bastoncini maledetti, non ce la faccio più'. 'Vuoi lasciarli qui?, te li portiamo giù più tardi all'Arrivo'. Siiii, grazie!!! Mi vien voglia di abbracciarla. Veloce trangugio ancora qualcosa, e via. La velocità è bassa, Ceresole non arriva mai, finalmente arrivo al Rifugio Mila e imbocco il bello sterrato del lungolago. E' pieno di gente ignara che passeggia, mi sforzo di correre in modo meccanico, andatura regolare, resistere ancora un po'. Panorama di nuovo bello, con l'azzurro intenso dell'acqua a pochi metri, in alto sulla sinistra il paese di Ceresole.

     Non ho chiaro come finirà il percorso. Mancano però sicuramente pochi, eterni minuti.

 

posto_arrivo 16 si     Finalmente in mezzo fra i tetti e gli abeti scorgo un grande arco gonfiato, arancione, è sicuramente il Traguardo. C'è molta gente, si ode la voce amplificata dello speaker, ultimi 50 metri in passerella d'onore, vedo Stefano con il microfono in mano che alza i toni e declama come se fossi il primo arrivato. Coggiola mi stringe la mano. Mi fanno i complimenti stupiti, mi dicono che sono stato regolarissimo, monitoravano ogni passaggio ed ero sempre intorno alla ventesima posizione.

 

     Foto accanto al cronometro ufficiale, 8 ore e 39 minuti. Rimango sorpreso. Ero completamente fuori dal tempo. Sono in  buone condizioni, abbraccio la moglie che ha passato la giornata ad ascoltare i passaggi e ha partecipato ad ogni fase del radio corsa.

     Tutto ok. E che emozione  dentro! Il Colle dei  Becchi, il grande traverso, i nevai e il cielo del Colle della Porta, il lago Lillet, la gente sul Colle della Terra ! !  L'Himalaya non può essere meglio.

     L'Ultima Avventura può essere qui. E' dentro di te.

Ce l’avevi detto, Giampiero. 

 

 

                                                                            Vittorio Duregon