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Testa in Paradiso, ma gambe e piedi...
Scritto da Somadaj   
Martedì 28 Maggio 2019 17:40

 

 

Ghilead n° 43 vs – novembre 1996

 

      La giornata è splendida: sole, arietta frescolina, atmosfera tersa, limpida, anche se l'azzurro del cielo è qua e la velato. Alle 9 puntuali si parte per il paradiso. Non si è numerosissimi, ma è giusto e normale essendo questo un andare riservato a chi ha del mondo un certo concetto sublimale ed a questo dedica attenzione.
     Mi sento eccezionalmente “libero e giocondo” mentre seguo la colorata processione di fedeli che sorridendo e blablarizzando si snoda lungo un breve percorso cittadino raccogliendo dai locali, come petali di rose, applausi a scena aperta.   Un breve giro per riscaldar bene i muscoli, poi si comincia giustamente a salire. Lo sapete bene: il paradiso è in alto, l’inferno è in basso ed il purgatorio a metà strada. E per salire bisogna faticare…
     Diciassette minuti e San Michele mi sorride da lontano porgendomi, con sussiego, una lacustre tazza d'acqua che però cortesemente rifiuto; è ancora presto per rinfrescarmi anche se, sinceramente, già mi trovo di parecchio accaldato.
Continuo a salire più veloce della luce, oserei dire, dato che al trentatreesimo minuto mi trovo nella costellazione di Sirio.
     E’ bellissima, linda, curata, dai colori vivi e splendenti. La costeggio socchiudendo gli occhi abbagliato come sono dalla luce che emana dalla stella di prima grandezza che ad essa dà il nome. E’ il lago più bello e “umano” – nel senso di civilizzato – che scorgo in paradiso. E’ anche il più grande.
     Ancora su, più su, poi un po' giù, poi su…. Strade per brevi tratti ampie, anche se poco trafficate, e moltissime deviazioni su stradine secondarie che si insinuano per ogni dove alla scoperta di stupendi poster naturali.
     Sempre tortuose, sempre con pochissimi metri in piano, a sfiorare vecchie costruzioni, civettuole villette, vigneti curatissimi, periferie di cittadine, piccoli borghi dai profumi antichi. Stradine dal fondo ora asfaltato, ora lastricato, ora acciottolato…
     Una ventina di minuti ancora e costeggio le rive del lago Pistonio; un'ora esatta dal via e le mura di un antico maniero che troneggiano dal solito cocuzzolo sul vassallifero circondario si presentano ai miei occhi. Da quanto scorgo le possenti mura sono integre e curate quasi che in esso ancora vivano e operino nobili cavalieri e attivi feudatari. Sarebbe bello avvicinarsi di più per scoprire l’atmosfera, la storia, i “misteriosi misteri” di cui certamente è custode; sarebbe bello, si, ma per il momento mi è impossibile. Annoto mentalmente: “Castello di Montalto” - poi si vedrà.
    La testa è serenamente e felicemente intenta a godere dello spettacolo esaltante che la circonda e vorrebbe assorbire da esso più linfa vitale possibile. Vorrebbe arrivare lì, arrivare là… ma non ha fatto i conti con le gambe che dopo più di un’ora di su, su e giù, cominciano a brontolare.
     Il tranquillo, unico allenamento domenicale che ormai mi concedo si dimostra ora più che mai insufficiente a sopportare lo sforzo che un sali scendi del genere richiede. E ancora il bello deve venire… ed è lì, proprio dietro l’angolo: il bosco!
     Inutile sottolineare che si tratta di un bosco meraviglioso, dalle caratteristiche, per intenderci, di quelli di Vistrorio e Lugnacco. Sentieri stretti, tortuosi, ora ripidi “all'insù”, ora ripidi “all'ingiù”, con dei tratti quasi in piano a costeggiar piccoli prati montani. Quest'anno il fondo dei sentieri mi pare però (non so se per via della pioggia che ha spazzato via le “briciole” lasciando ben bene in evidenza aguzzi sassi a tracciar come greti di torrente, o per via delle gambe ormai rigide e stanche) estremamente aggressivo nei miei riguardi. 
     Corro sul piano e sulle salite saltellando a mò di camosc… di rospetto un pò di qui un pò di là nel tentativo di evitare le pietre più bellicose, ma le discese sono ora veramente indisponenti e dolorose. Piano piano – l'unico impegno che sempre mi prefiggo è quello di non camminare mai – con la testa ora assai distratta impegnata com’è nel tracciare percorsi il men dolorosi possibili, e nel lanciar di tanto in tanto degli “ohi! ohi!” a sottolineare storte e botte, mi avvicino all'ultimo lago in programma, il lago Campagna (il 4°, il lago Nero, senza ben comprendere il perché e il per come - forse perché troppo nero? - non ricordo di averlo visto).
     Mi pare molto bello nella sua selvaggia composizione, forse persin più bello di Sirio, ma non vorrei che questo fosse dovuto al suo sussurrarmi : “forza, solo più cinque chilometri al traguardo”. Lo supero attraverso il sentiero tracciato a malapena lungo il ripido fianco roccioso che da questo lato si sporge su di esso, e su trampoli di legno che appoggiano dolenti su due caldissimi “hamburger” stringo i denti iniziando una lunga, dolce e asfaltata – per un po’ – discesa su Ivrea.
     Ancora dello sterrato, ancora un po’ di salita asfaltata, di ripido sentiero su roccia, di ripida discesa su scale e non, ed il traguardo è mio!
     Bellissima “5 laghi”, com'è possibile non amarti? Il tracciato è duro, selettivo, e per chi si presenta con poca preparazione anche doloroso, ma quanto offre al cuore compensa in larghissima misura la fatica.
     Per me è stata la terza volta di uno stupendo momento di vita.
     Ventitre km con la testa in paradiso e, oggi, con le gambe in purgatorio ed i piedi all’inferno!…
 
 
 
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