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Royal Marathon 2011
Scritto da Somadaj   
Mercoledì 17 Luglio 2019 15:10

 

 

 

 

Royal Marathon      31 – 07 – 2011

 

 

 

 

Somadaj deve essere rimasto contagiato dal Virus Paracquarus, non è possibile altrimenti. Giù da letto prima dell’alba perché, leggo (malamente, ma lo scoprirò troppo tardi) il passaggio dei primi al cancello posto al ponte sul torrente Carro avverrà intorno alle 9,30. Ancor’ora non ho compreso che significasse quel 9,30 riportato su di una tabellina del sito della Royal, fatto sta che ho trascorso ore di vigile veglia su di un terreno bitorzoluto e scosceso, e tanto le gambe si sono appisolate – “dormendo” fra incubi – che quasi non ne riuscivo più a discendere…

Poco prima delle otto sono sul luogo dell’arrivo gara per scattare le classiche quattro fotografie. Sono presenti tre auto e due gatti, ma il bar è aperto. Mi faccio un caffeuccio?… Mah… e se poi arrivo tardi al ponte Carro? Non conosco nulla dei luoghi, del percorso, e le gare di montagna, anche se ripetute sui medesimi tracciati, possono avere tempi diversi di svolgimento data la mutevolezza di un percorso se sottoposto a condizioni meteo ballerine. Niente caffè, allora, e subito in moto. Ovviamente sta lavorando alacremente in me il Virus Paracquarus, anche se ancora ne sono completamente all’oscuro. Così non scorgo per tempo il punto di attraversamento della statale che i concorrenti sono costretti a fare, e come nulla fosse proseguo tranquillo verso il Nivolet. Un turnichè… un altro turnichè… uno ancora… ancora… Ora sterzo tutto a destra… tutto a sinistra… destra… Mi sento come ubriaco. Finalmente un dubbio mi coglie, così che mi par di ricordare che dopo Chiapili di Sopra la cartina non pareva segnalare tutti quei km di rampa che ho iniziato a percorrere…  Così attendo la prima possibilità che si presenta – una mini piazzola – e volto Poppolina. Dopo una “ventina” di km. in retromarcia ecco finalmente il luogo deputato al passaggio, ed ecco uno spazio-sosta pronto ad accogliere Poppolina. E’ soletta soletta, ma nulla ancora fa sorgere dubbi; so bene che nelle gare i vigili-volontari-per-l’occasione non giungono un’ora prima. Faccio due passi su per l’erta bitorzoluta e solcata qua e là da minuscoli rigagnoli d’acqua per farmi un’idea della direzione bandierine, quelle che agli atleti segnano la giusta via. Ne scorgo tre, poi… Ecco, dovrei proseguire seguendone le tracce, ma direi che non mi conviene. Non ho molto tempo per scoprire cosa vi è al di là dello sterrato che scende verso il ponticello. E prima delle 9,30 debbo essere qui, pronto ad accogliere i primi… 

Qualche frettoloso cliiick!, poi corro alla postazione uno. Che mi insegna una cosa: dal momento che soffro ancora le Cascadia vista la loro testardaggine (non cedono neppure di una virgola), e le pantofole Adrenalina sono troppo pantofole per questi terreni, se ritengo di muovermi fra sassi e alpini sentieri non mi resta che portare appresso, e giunto in loco calzare, le Pedule modello Inquisizione!

Forse come “morse-da-fabbro” le pedule sono più distruttive, ma il collo alto sostiene la caviglia (vero, cuginetto-alpino GeoSergiulin) e ciò, unitamente alla solidità dell’insieme, rende lo scarpinare non corsaiolo direi, pur con tutti gli ahi ahi di rito, meno traumatico.

In sintesi il restare 3 ore (3 ORE +!!!) movendomi, si fa per dire, su di un metro quadrato di terreno scosceso e “grottoluto”, mi cimice piedi e gambe. Le testa regge (con quelle montagne-cartolina attorno e quel venticello…), se pur fra mille punti interrogativi, ma quando dopo aver fotografato i primi ho tentato di scendere, il timore di doverlo fare con il sedere tanto le gambe non rispondevano agli ordini, è stato fortissimo.

Lasciata la prima tragica postazione uno, scendo lungo lo sterrato, attraverso due striminziti ponticelli e mi immergo nel verde del sentiero che porterà gli atleti al Rifugio Jervis. Dopo aver fotografato i primi sei atleti al primo disgraziato “punto cliiick!”, pare calato il vuoto. Cammino addentrandomi nel sentiero, voltandomi spesso ma senza scorgere alcuno. Purtroppo lascio non di rado Mersì nella fondina; sono ancora anchilosato dalla lunga sosta, agile come un paracarro, e non vorrei inciampare e distruggere nel cadere la Mersì sessantottina.

Ho corso accanto amici che sbuffavano come treni a vapore, che emettevano lamenti come colti da improvvise doglie, grida da far temere ferite a morte, urla ritmate sul passo gara da far accapponare la pelle… Qui nulla, non ho udito un sospiro che sospiro fosse, quasi gli atleti non respirassero l’aria come i comuni mortali ma l’assorbissero unicamente attraverso la pelle. Forse che il correre dove corrono gli angeli abbia loro permesso di acquisire dagli stessi nuove forme ipertecnologiche di adattamento del corpo agli sport estremi? Non mi stupirei se fra un paio d’anni questi angeli podisti mettessero in piedi, sulle cime più diverse, qualche speciale Ginnic Club…

Fatto sta, per farla breve, che il sopraggiungere della Guardiaparco Volante e del suo scudiero non è assolutamente da me avvertito attraverso l’udito. Entrano in gioco improvvisamente il 43° senso ed i riflessi ancestrali: mano alla fondina, estrazione di Mersì, caricamento, iniziando a sparare la raffica mentre ruoto su me stesso alla ricerca del bersaglio.

Becco metà Raffaella, mentre lo scudiero si divincola strappandomi un mosso, poi continuo a sparare mentre di già mi voltano la schiena. Porca l’oca, mi dico prendendomi virtualmente a schiaffi, la prima femminuccia l’ho toppata!

Ho preso con me lo zainetto-Ghilead nella speranza di poter salire lungo il sentiero alla volta del Jervis (e poi dovrò pur ben mangiar qualcosa…), ma purtroppo presto si entra in una zona a prima vista ricca di alberi, e così mi fermo. E’ tardi per spingere l’esplorazione oltre il tunnel, gli atleti bussano ormai alla porta. Anche le foto con una possibile reflex in queste situazioni risulterebbero pessime perché il sole a quadretti spalmato sul viso non dona certamente a nessuno.

Resto perciò nella zona, lo zainetto-Ghilead a riposare appoggiato a terra mentre pian piano provvedo ad alleggerirlo. Anche questa volta ho preso con me qualche bottiglietta d’acqua e di Gatorate, ma non servirà a nessuno; il Cancello-Ristoro è stato appena superato.

Il sole, prima a picco, pian piano si sposta così che mi trovo ad un certo punto costretto a cercare una nuova posizione cliiick!. Il luogo scelto – lo sterrato che conduce al Cancello-Ristoro – non è il top, ma il ricordo del piano scosceso e grottoluto proprio non mi ispira più.

Clicco sino alle 16,30 e qualcosina di più fermandomi a chiacchierare con i due simpaticissimi volontari posti a vegliare sull’attraversamento della statale. Quelli in arrivo sono ormai fuori il tempo massimo, ed è persino triste assistere alle loro preghiere. Tanto faticare per vedersi infine la porta chiusa in faccia non è il massimo, ma la direttiva è sacrosanta. Il più è fatto, ma quanto resta ancora da percorrere non è uno scherzo e chi qui giunge ora appare di parecchio già spompato. Al Jervis, ultimo cancello, arriverebbero forse a notte…

Mi farebbe piacere passare dal traguardo per vedere se incontro Vittorio e la Piccola. Di lui so che malgrado l’iscrizione non ha corso per via dello stop consigliatogli dal medico (ginocchio – ma non vorrei toppare – desideroso di riposo), ma di Eleonora, partita regolarmente e da me attesa ma non scorta, desidererei notizie. Al traguardo passo forzatamente accanto (è praticamente sulla statale che sto percorrendo), ma mi sento parecchio stanco, e se pur un caffeuccio sarebbe toccasana decido di tirar dritto sino a casa. E’ stata giornata bellissima, di quelle che comunemente sa offrire la montagna, ma duretta anzichenò per Somadaj. Una giornata ventilata, calda ma non troppo, trascorsa in bilico sulle zampette forse con troppi momenti di sosta, con la mancanza di allenamento che si è fatta sentire tutta.

E’ stata per me rivelazione la prestazione di Daniele Campigotto: buonissima la posizione conquistata (18° assoluto con il tempo di 9h 18’.52”), ma soprattutto è stata la sua fresca lucidità al passaggio della postazione cliiick a colpirmi gradevolmente. In palla gli amici conosciuti mi sono, sinceramente, apparsi un po’ tutti (hanno forse goduto di una pozione offerta ad un ristoro organizzato da angeli podisti?), con l’Orco Poeta Beppe Ruisi che addirittura improvvisa una danza sotto l’occhio esterrefatto di Mersì. Danza che più che da Orco mi è però parsa da Orso, eheheh.

 

Il servizio fotografico è postato alla pagina FOTOSPORT

 

 

 
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