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Rifugio Jervis
Scritto da Somadaj   
Domenica 14 Luglio 2019 17:33

 

 

 

 

   Rifugio Jervis

                                                 25 - 08 - 2007

 

         

 

     Poco dopo il lago di Ceresole Reale, sul piazzale sterrato posto non molto distante dal Rifugio Guido Muzzio, lasciamo posteggiata Caretta Caretta. Sono le 9,39 quando muoviamo i primi passi alla volta del Jervis, e la giornata si presenta bellissima. L’aria è leggera, l’acqua del torrente Orco canterina e lo spirito svolazza garrulo carico di attesa per i nuovi percorsi che vado oggi a scoprire.

     Attraversando il ponte in legno che scavalca il corso d’acqua do un’occhiatina alla palina “introduttiva”: per il Jervis due ore di cammino. Peccato che alla base del palo che sorregge la cartellonistica un altro cartello indichi… un’ora e venti! Tempo medio per non competitiva e competitiva? Noi, comunque, impiegheremo due ore e 5 minuti.

     L’inizio è subito tosto: ci si arrampica su di un erto prato spelacchiato puntando a breve sulla sinistra; giusto giusto dove termina la corsa un baby schilift inizia il sentiero. E’ assai ripido e dissestato, preda di un zig zag stretto, convulso, isterico, che ben presto ci fa salire di quota. A terra vi è molta roccetta frantumata, specie all’inizio. S’inerpica seccamente in un lariceto, e l’umidità è notevole. Con tutto ciò, sudo come un pollo di batteria sullo spiedo!

     Il panorama di cui godono gli occhi e l’anima non è gran che in quanto l’altro lato del vallone è poco significativo, oltre all’esserci per buona parte negato dagli alberi che ci accompagnano sino ai piedi del Jervis. Uno sforzo iniziato a freddo, questo salire, che stranamente non pare intaccare più di tanto fiato ed energie. Salgo in scioltezza, cercando al solito – come quando correvo – la giusta misura del ritmo. Sergiulin, la guida, ha il passo posato dei vecchi alpini, da diesel anteguerra, lenti ma inarrestabili.

     Qualche Cliiick! salendo, qualche altro al Jervis ed alle montagne, spruzzate di zucchero a velo, che gli fanno da corona. Poi prendo posto ad un tavolo fuori dal rifugio in attesa della polenta!

     E’ un test importante. Anche ora, sono ormai le 12 suonate (11,45 l’arrivo) non ho assolutamente appetito e il panino (ormai ne porto solo uno, e piccolo) non ho proprio desiderio di addentarlo. Riuscirei a mandar giù, forse, metà barretta energetica con qualche sorsata di Gatorate… Ma polenta con salciccia e spezzatino chissà… E aggiungendo un “ciurniet” di Nebiolo?… chiudendo con crostatina e caffè?…

     FUNZIONA!!! Solamente la crostatina (troppa) mi fa sbandare nel pindarico volo, ma non è buttata perché Sergiulin mi aiuta nell’opera di eliminazione. Al Nebiolo ho affidato le speranze di “anestesia piedatoria” perché fra non molto sarà la volta della per me ostica discesa. E qui vi è l’incubazione a quello che si rivelerà come “Il cammino della speranza” (nel senso di: speriamo il calvario finisca presto…).

       Nel salire Sergiulin mi parla di una eventuale discesa sul lato opposto del vallone, discesa a lui sconosciuta (malgrado le 5 salite al Jervis effettuate) perché gli amici che di volta in volta qui lo hanno accompagnato si sono rifiutati di percorrerla. Titubo un po’, ma la comune decisione viene presa in seguito alle indicazioni di una ragazza sulla trentina (di evidente razza montana) che incontriamo al rifugio. Di professione fa la guida turistica, ed alle domande di Sergiulin risponde affermativamente. Si, esiste un sentiero che si dipana per alpeggi scendendo dolcemente, quasi al termine dei quali – alpeggi – vi è la segnaletica di un bivio: a destra si scende rapidamente (il sentiero è stato da non molto riassestato, dice) e si arriva al piazzale dove attende Caretta Caretta; tirando invece dritto si arriva a Chiapili Sopra, dalla quale frazione poi si deve ridiscendere due km. di statale se si vuole raggiungere la vettura. Questo pezzo parrebbe migliore - così dice… - di quello che scende direttamente sulla destra.

     “Vi consiglio questo percorso perché molto più panoramico, più spettacolare. Quello fatto in salita è un buco nero…”. Non ha torto, mi dico, così alle 14 si parte per il ritorno.

     L’inizio non è troppo incoraggiante perché il sentiero sale (raggiungiamo la quota di 2320), per poi però placarsi presto proseguendo serpeggiando su accidentati e “onduleggianti” campi coltivati a pietroni…

     Lo spettacolo montano è decisamente corroborante tanto che mi fermo più volte per scattare fotografie (bellissime sullo schermo del computer con dimensioni e colori che ne evidenziano sfumature e piani, ma che riprodotte in BN sul giornalino, ahimè, si riducono a piccoli scarabocchi! Che peccato…).

     Spesso camminiamo su enormi lastroni di pietra inclinati, “marciapiedi” levigati dal ghiacciaio che un tempo qui la faceva da padrone. Infine, cammina e cammina (Non scendiamo mai, dice Sergiulin che di tanto in tanto controlla l’altimetro) giungiamo al bivio. “Scegli tu”, dice il cuginetto. Ed io, per timore della dissestata ripidità della diretta, scelgo “il lungo”!      Sono le 15,11. Fino ad ora tutto è andato bene, direi. Ho di già persino digerito la polenta ed il contorno! Non sono al massimo, chiaro, ma mi sento bene, e se il sentiero continua così può darsi che i piedi, anestetizzati dal Nebiolo, mi lascino tranquillo.

     Purtroppo non è così; come il sentiero accentua la pendenza diventa molto brutto, “terribile” direi. Pietre ballerine, buche, erbacce alte sino al ginocchio che negano alla vista le insidie del fondo, ghiaia, alti pietroni da discendere. Alle 16 entro in crisi!

     Le gambe diventano molli come un budino, le caviglie “a talociu” (traballano, danzano per conto loro), le pedule paiono diventate lunghe e larghe come un 55 tanto sbattono per ogni dove mentre i piedi bruciano come immersi in bollente sugo di peperoncino. Riprendo a sudare come due polli di batteria allo spiedo.

     Sergiulin, la guida, scende lento e pacato ed ogni 100 metri si ferma ad attendermi (su 100 metri ne accumulo 50 di svantaggio…). E’ veramente dura, anche se quando mi fermo non provo la sconcertante sensazione di gambe che tremano provata invece scendendo dal Colle delle Coupe. Alle 16,45 sbagliamo strada – il “sentiero” lo si indovina grazie ai segni rossi dipinti qua e là, e quando uno sfugge… Ma ormai siamo fuori, e questo accade alle 17 esatte. Da attraversare un’ampia prateria, superare due ponticelli in legno, attraversare un gruppo di vecchie abitazioni ed arrampicarsi sino alla statale. Mi butto a terra a baciare il nastro d’asfalto mentre Sergiulin propone di fare l’autostop. “Mi faccio portare sino a Caretta Caretta e poi vengo a prenderti…”. Ma io non ci sto… (?! Boh…)  

    Così in questi 2 km. conclusivi ho modo di finire del tutto il lavoro di demolizione delle estremità inferiori, che neppure trasbordate nelle normalmente comode scarpe da corsa troveranno un minimo di meritata pace…

      Alle 18,13 raggiungiamo la piccola fuoristrada, alle 18,28 il bar per una coca ed un caffè…

                                                                                                                    Ernesto Ceraulo "Somadaj"  

 

     

 
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